domenica 18 settembre 2011

Pellicce e nativi americani: un po’ di storia

Il mercato delle pellicce che giungevano dal continente appena “scoperto” alimentò ben presto, e a dismisura, le vanità degli europei, aumentò così vertiginosamente la richiesta di queste pregiate mercanzie.
I furbi avventurieri sbarcati nel nuovo mondo, cominciarono così a barattare con gli “indigeni del posto” ad esempio oggetti di scarsissimo valore con pregiate pelli di lontra, e i propri vestiti rabberciati destinati alla pattumiera con le stupende pelli di castoro faticosamente procurate dagli ‘indiani’.
L’America diventò il grande magazzino di pellicce per l’Europa… Agli indiani il compito di riempirlo.
Gli europei inoltre fecero conoscere ben presto ai ’selvaggi’ l’inebriante acquavite – che usavano per stordirli prima delle ‘trattative’ – nonché altre *magiche cose* con le quali cercavano di ingannare gli ingenui abitanti del luogo. I furbi mercanti del vecchio continente fecero di questi espedienti preziosi alleati.
Che amarezza!
La trappola illusoria del vantaggioso baratto disorientò ben presto alcuni fra gli ‘indiani’ più scriteriati. Diverse comunità, che mai avrebbero pensato di dover affrontare una situazione simile, si trovarono impreparate nel dover affrontare questo mistificatorio nemico. Questo nuovo nemico ‘rapiva la mente’ degli stolti e giungeva a volte sino ad essere più forte del sacro rispetto per la veneratissima Madre di tutte le cose: Madre Natura. Un sacro rispetto, punto focale della cultura indiana, che ogni indiano aveva ben radicato dentro di sé, almeno sino a quell’infausto incontro con l’uomo bianco.
Madre Natura, prodiga di frutti benedetti, Madre natura, amorosa dispensatrice di ogni bene, Madre Natura, madre di tutti gli animali, anche di quelli da cacciare ed uccidere, per reale bisogno, in ‘confronti’ leali e senza inutili sprechi.
La ingannevole rete tessuta dai bianchi arrivò a disorientare, anche se solo temporaneamente, l’ignaro pellerossa che giunse ad affermare:
“Il castoro fa le cose per bene: sa fare le pentole, le accette, le lesine, i coltelli…”.
Questo nuovo ed ingenuo slogan coniato dagli indiani rende oggi bene l’idea dei ‘vantaggi’ che inizialmente derivavano dal commercio delle pellicce; vantaggi fatali però, che decretarono la condanna a morte di tutte le culture locali.
Gli indiani non potevano immaginare che, adottando il pensiero degli europei, avrebbero messo in moto l’ingranaggio destinato in breve tempo a stritolarli senza alcuna pietà.
Gli uroni, gli irochesi e gli indiani delle coste nord-occidentali cercarono di affrontare il disorientamento legato a questa nuova ‘mania della negoziazione’ e dettarono delle regole; ammisero il commercio con i bianchi (purché sobrio e misurato) e l’arricchimento di alcuni componenti della collettività. Il profitto derivante dagli interscambi però non doveva assolutamente generare disuguaglianze, né marcare differenze di sorta con gli altri membri della comunità; rimaneva perciò decisamente in vigore il principio della redistribuzione, che anzi doveva essere ulteriormente rafforzato e sviluppato con nuovi criteri.
Ma l’europeo, che primeggiava in astuzia, impose senza indugio l’introduzione di nuovi sistemi commerciali.
Le virtuose consuetudini “socio-economiche”, ancestrali per le comunità indiane, finirono così per essere gradualmente distrutte. L’introduzione successiva di nuove e mirate mercanzie snaturò totalmente il modo di vivere indiano e ne segnò definitivamente la caduta. La caccia, il commercio e la distorsione culturale, mutarono radicalmente il sistema di vita e l’alimentazione delle tribù che giunsero così a dipendere completamente dagli scaltri europei.
Ebbene oggi, la situazione non è cambiata nella sua essenza, visto che molti “trappers” sono proprio dei nativi, e sono persone povere, spesso costrette a guadagnarsi di che vivere vendendo le pelli, poi esportate e vendute a caro prezzo in tutto il mondo…